17 Dicembre 2020

Paolo Buonvino e l’imprenditoria sociale: sapersi mettere in gioco e al servizio degli altri

 

Ci vogliono grande fiducia nel futuro e salda fede nelle capacità umane per lasciare una multinazionale e dedicarsi all’imprenditoria sociale. Paolo Buonvino le ha entrambe, così come ha altruismo e forza di volontà, consapevole che si debbano sfidare i confini dell’impossibile per imparare a mettere sé stessi al servizio degli altri.

 

Paolo, che studente sei stato? Che valore aggiunto ritieni ti abbia dato il frequentare la Luiss?

Direi che sono stato uno studente molto curioso, che ha sempre cercato di andare oltre i libri e la mera didattica frontale per cogliere tutte le opportunità formative che un percorso accademico può offrire. A contare infatti, soprattutto oggi, sono sempre meno i titoli e sempre più le esperienze. In questo la Luiss, oltre a un ambiente multiculturale e stimolante, garantisce moltissime occasioni di sviluppo laterale, come Radio Luiss, Rivista 360°, sport, eventi, rassegne e convegni di vario genere. Tutto questo mi è servito da stimolo prezioso per il mio sviluppo a 360°.

 

Cosa ti ha spinto ad abbandonare il lavoro in una multinazionale per approdare all’imprenditoria sociale? Qual è l’aspetto del tuo lavoro che preferisci?

Da una parte, la volontà di mettere la mia esperienza e le mie capacità al servizio di una comunità sociale più ampia e bisognosa. Dall’altra, la curiosità e la voglia di continuare a mettermi in gioco, di apprendere nuove abilità e competenze che sono convinto arricchiranno il mio percorso, sia dal punto di vista personale che professionale. Non è più possibile pensare al proprio sviluppo solo in maniera verticale e monolitica. Al contrario, credo fortemente che le grandi sfide di un mondo complesso e interconnesso come il nostro richiedano competenze ed esperienze trasversali.

Gli aspetti che mi piacciono di più del mio lavoro attuale sono due. In primis, il contatto umano quotidiano con le mie studentesse e i miei studenti. Contribuire a plasmare il loro futuro è per me motivo di forte responsabilità e orgoglio. In secundis, l’imprevisto: quando si lavora con la materia umana, in dei contesti strutturalmente e socialmente molto stressati, non si possono fare piani ma previsioni. Bisogna cercare di abbracciare il cambiamento così come viene, imparando dai propri errori con gentilezza, verso sé stessi e gli altri. In questo contesto, non sempre si riesce ad essere positivi ma l’importante è rimanere determinati.

 

Qual è il ruolo dell’innovazione nella formazione e nella cultura per uno sviluppo sostenibile? Quali elementi concorrono ad abbattere le disuguaglianze sociali, educative ed economiche?

Come spesso accade ai termini di cui si abusa, anche l’innovazione è a mio modo diventato un pericoloso mantra che dobbiamo avere il coraggio di questionare. Con questo non voglio dire che creare e portare innovazione non sia fondamentale. Piuttosto credo che dobbiamo guardare all’innovazione in modo onesto e critico, domandandoci se e quando è necessario innovare e soprattutto chi saranno i beneficiari ultimi di un dato progresso. Ragionare in termini di uno sviluppo particolare sempre necessario e utile rischia di farci perdere il senso olistico di questo continuo guardare avanti. Le disuguaglianze si abbattono riconoscendole, comprendendo appunto che richiedono soluzioni articolate e non particolari, per cui è richiesta la collaborazione di tutti. Penso sia oggi un dovere, oltre che una necessità, rinunciare a un pezzettino della nostra individualità – sia essa personale, economica o politica – per costruire qualcosa di più grande e accessibile a tutti.

 

Cosa ci stanno insegnando e dove ci condurranno la crisi pandemica e il suo impatto su tutti i settori della nostra vita e sui processi legati al mondo della formazione e del lavoro?

Questo nuovo, lento, tempo che stiamo vivendo a mio modo di vedere ci sta forzando a riflettere su due aspetti della nostra esistenza. Il primo ha a che fare con noi stessi, con cosa consideriamo veramente essenziale. Questo ragionamento può essere applicato a tutti i livelli della nostra società, dagli spazi in cui abitiamo (ripensare la propria casa, il proprio ufficio, la propria città) al modo in cui stiamo riconsiderando i rapporti umani. Le domande che ci poniamo sono sempre le stesse: “Cos’è veramente essenziale? Di che cosa non riesco a fare a meno?”. Non ho la pretesa di immaginare una risposta collettiva a queste domande, ma sono convinto che ognuno di noi uscirà da questa crisi con il suo individuale pezzetto di verità.

D’altra parte, questo periodo ci ha reso tutti più consapevoli della interconnessione del mondo presente, della necessità di affrontare di comune accordo domande e problemi a cui sarebbe impossibile rispondere in modo individuale. Questi interrogativi ci condurranno necessariamente a ricercare una maggiore integrazione e comprensione reciproca. Chi profetizza scenari apocalittici dimentica che fenomeni di autodistruzione sono illusioni momentanee, che nel lungo periodo non sono mai sopravvissute alla volontà di sopravvivenza e sviluppo tipica del genere umano.

 

Come immagini il futuro? Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Il futuro lo immagino sicuramente migliore del presente. Non mi azzardo in previsioni, ma son convinto che non bisogna mai smettere di credere nelle capacità umane, pena la creazione di una profezia che si auto avvera. Se, quasi per gioco, devo immaginare un grande dilemma del mondo futuro, mi viene in mente la capacità di fare i conti con la propria storia, di saper scegliere cosa salvare e cosa dimenticare.

Ho invece sempre trovato difficile immaginare il futuro in termini di obiettivi, mentre diventa più facile visualizzarlo se rifletto sulla persona che vorrei essere. Da appassionato dello sviluppo delle persone, credo che questo continuerà ad essere il mio campo di studio e di indagine. A un certo punto della mia vita vorrei anche inserire un’esperienza più intima e distaccata dal sociale, come un anno sabbatico o un lungo viaggio in solitaria, ma sento che non è ancora giunto il momento.

 

Il tuo motto, il mantra che ti ripeti nei momenti di difficoltà?

Non confondere mai l’impossibile con l’improbabile.

 

Virginia Gullotta, Giornalista