
Laureato Luiss in Economia e commercio, una carriera nelle multinazionali, Marco Saletta è oggi General Manager Sony Interactive Entertainment Italia.
Quali sono i primi ricordi legati alla scelta della Luiss e al suo percorso universitario?
Era il 1987 e un amico mi disse “vado a fare i test alla Luiss”. Io ero ancora titubante sulla scelta dell’università, così ne parlai con mio padre che mi disse “sarebbe la più grande opportunità della tua vita”. Con grande meraviglia passai il test di ammissione e da lì iniziai il mio percorso di 4 anni. Scelsi, poi, una specializzazione in marketing e, anche grazie alla facilità di ingresso nel mondo del lavoro, considero l’esperienza in Luiss davvero unica, perché permette di avere un network di persone che si incontrano e si riconoscono in tutto il mondo.
Ci sono dei valori che secondo lei uniscono più di altri gli Alumni Luiss?
La serietà e l’etica. Penso che questi siano due tratti che non mancano nelle persone cresciute in Luiss, nei quali mi riconosco molto anche io. Inoltre, credo siano valori che consentono di fare un percorso convincente nel mondo del lavoro. Personalmente sono molto più etico che serio! Scherzi a parte, se non hai un’etica sarà complesso gestire una carriera e affiancare la tua strada a grandi aziende.
Rispetto al tema della diversità e dell’inclusione, ci sono delle buone pratiche che secondo lei possono essere utili per aziende come la sua, ma anche per realtà più piccole, per attivare meccanismi virtuosi contro ogni discriminazione?
In realtà i temi della diversity e inclusion sono molto nuovi e sono diventati pregnanti nell’employer journey. Sony fa oggi della diversity e dell’inclusion, sia all’interno che all’esterno, dei baluardi grazie ai quali difendere la propria reputazione e quella dei manager che la rappresentano. L’azienda si impegna a capire cosa si può fare per renderle esperienze della vita e non solo due parole. È fondamentale un coinvolgimento in prima persona per essere convincenti su queste tematiche. È arrivato il momento che la discriminazione non esista più e per non farla più esistere bisogna operare, non solo più parlare.
Davanti a un videogioco siamo quindi tutti uguali?
Assolutamente sì. Il videogioco è uno strumento ampiamente inclusivo in termini di engagement e di target audience. In Italia ci sono circa 18 milioni di gamer, 1/3 della popolazione gioca attivamente e sono equamente divisi tra maschi e femmine. Nel mondo degli e-sport, ancora, c’è una leggera prevalenza maschile. Ma il nostro è un mondo estremamente inclusivo, lo vuole essere proprio di natura. In generale il settore dei videogame è in un percorso di non discriminazione su vari livelli.
Anche nella definizione dei profili tecnici e nella ricerca di talenti?
Esattamente. La nostra è un’industria creativa e tecnologica che ha bisogno di talenti assoluti. Ecco perché siamo inclusivi per definizione, il talento non ha genere, non può averlo.
Rispetto al marketing, come ha visto cambiare nel tempo l’approccio a questa materia e quindi che spazio occupa oggi in un’azienda come la sua e in generale?
Nella comunicazione ormai il principio della globalizzazione domina qualsiasi regola e se vuoi essere un brand globale devi essere un brand inclusivo per definizione. Per quanto riguarda Playstation, la nostra comunicazione tende ad essere sempre massimamente inclusiva, facendo attenzione al modo in cui ci si esprime, dalla colonna sonora alle immagini legate al brand, non si può più prescindere da questo.
La pandemia ha cambiato qualcosa rispetto al vostro settore e all’interno della sua azienda?
La pandemia ha cambiato tantissimo. Siamo stati per 18 mesi in smart working e abbiamo riaperto gli uffici ad ottobre. La pandemia ha completamente cambiato le regole di employee engagement: per stare in un sistema il dipendente vuole avere libertà di scelta e lo smart working è un must have. In Sony stiamo cercando di dare all’individuo la possibilità di scegliere qual è il suo nuovo “new normal”.
Domanda di rito: qual è il suo videogioco preferito?
Sono un grandissimo giocatore di Fifa, come tutti gli italiani. La simulazione di un gioco sportivo come quello del calcio mi ha appassionato sin dalla prima era.
Redazione CONNECT