
Dal tuo punto di osservazione, com’è cambiato il mondo delle telecomunicazioni dall’inizio della pandemia?
La pandemia ha dato un’accelerazione importantissima all’utilizzo del digitale, un’impennata che ha accelerato un trend già in atto e ha reso ancora più consapevoli tutti gli attori del mercato di quanto il digitale sia ormai fondamentale in tutte le sfere della società.
Il cambiamento è stato molto significativo e i nostri dati lo dimostrano: è aumentato l’usage di internet sia in mobilità che da casa, che ha portato anche una ricerca sempre maggiore di qualità del servizio internet. Ed è dato ormai per assodato che anche dopo il Covid sicuramente resterà questa accelerazione della digitalizzazione.
Secondo me, la cosa più interessante che emerge è il tema dell’identità digitale del cittadino, non intesa tecnicamente come uno SPID, cioè come un meccanismo di identificazione, ma come quel cambiamento nella vita delle persone quando sono immerse nel contesto digitale.
Che ruolo assume oggi il purpose di una azienda e quali azioni devono seguire ad uno scopo rilevante?
Il concetto di purpose è rilevante, il nostro, ad esempio, dice che esistiamo per eliminare le distanze tra le persone. Eliminare le distanze significa anche prendersi la responsabilità che il digitale/internet sia un luogo dove ci si possa avvicinare senza pericoli e si possa sfruttare come luogo di opportunità.
Il concetto fondamentale, quindi, è quello di benessere digitale: dobbiamo star bene anche nel contesto digitale, avere piena consapevolezza e saper gestire le problematiche ad esso collegate, in altre parole, serve una vera e propria educazione civica nell’online.
Secondo te, i nativi digitali hanno questa consapevolezza di cui ci parli?
I nativi digitali sono più preparati all’utilizzo degli strumenti, ma spesso non sono consapevoli dei rischi e nemmeno pronti a gestire le conseguenze. C’è bisogno di una maggiore consapevolezza, soprattutto perché spesso parliamo di situazioni che sfuggono al controllo degli adulti. Con WindTre, ad esempio, abbiamo creato un programma, Neoconnessi, che si focalizza sui bambini e li accompagna nella loro prima connessione. È fondamentale coinvolgere i più piccoli e, indirettamente, le loro famiglie e gli insegnanti in questo percorso di digital e media education. Inoltre, quest’anno, abbiamo pensato di mettere a disposizione una sezione per un’altra categoria di neoconnessi: i nonni.
Come si è trasformato il ruolo dell’azienda a livello sociale e come è cambiato il rapporto con il cliente?
Quando mi sono laureato, nel 2005, questi temi in Luiss iniziavano ad essere già presenti. E personalmente la capacità dell’Ateneo di saper anticipare alcune tematiche mi è stata molto utile. Poi ho lavorato 10 anni nel largo consumo, in Unilever, dove il concetto del purpose era molto sviluppato. La multinazionale, infatti, già prima del 2010, aveva ben chiara l’ambizione di duplicare i volumi dimezzando l’impatto di CO2.
È importante sottolineare come le aziende con uno scopo vero, autentico e largo crescano più velocemente e durino di più di quelle che non ce l’hanno. Questo perché le persone cercano esperienze, relazioni con i marchi e una marca/azienda che non è in grado di creare una relazione ha le gambe corte.
A proposito di Luiss, torniamo indietro nel tempo, come sono stati i tuoi anni di studio? Che ricordi conservi?
Sono stati bellissimi. Ho frequentato il Campus di Viale Pola perché non esisteva ancora quello di Viale Romania. Gli aspetti più rilevanti sono stati, oltre alla qualità del contenuto e dei professori, l’organizzazione generale l’università e il fatto che questa organizzazione facilitava uno studio migliore e la creazione di relazioni importanti con colleghi/amici. Il percorso universitario mi ha regalato legami di amicizia molto forti, devo molto a questa università.
Infine, se potessi, cosa diresti a Tommaso universitario?
Una cosa poco professionale, probabilmente: di divertirsi un po’ di più, avevo una borsa di studio e, per mantenerla, ero sempre molto focalizzato. Ma gli direi di stare tranquillo e godersi qualche momento in più di spensieratezza.
Virginia Gullotta, Giornalista