18 Luglio 2022

Blockchain, cultura del metaverso, arte e nuovi linguaggi. Dialogo con Valentina Cesaretti Salvi

Valentina Cesaretti Salvi è laureanda in giurisprudenza all’università Luiss Guido Carli di Roma ed è una giovanissima praticante presso lo studio legale Ristuccia Tufarelli e Partners; sarebbe sufficiente questa presentazione, ma in realtà io avrei da aggiungere che è stata una delle mie allieve più brillanti, complete e preparate, autrice di un arguto e toccante saggio sulla deontologia nel volume collettaneo “Il diritto e i percorsi della cultura contemporanea. Esordi di filosofia e legalità”, Linea edizioni, 2022. Come studiosa, Valentina sta espandendo i suoi ambiti di interesse e approfondimento e, poco tempo fa, mi ha comunicato di aver terminato un suo studio sulle nuove tecniche giuridico-economiche e il loro impatto sociale; è un’occasione imperdibile per approfondire dal vivo tali tematiche, dal momento che, personalmente, ho sempre riposto un’immensa fiducia nelle capacità ricognitive e di scoperta dei giovani.

 

Valentina, puoi spiegare a un umanista impenitente come me di cosa stiamo parlando? Blockchain e Metaverso sono vocaboli che hanno una notevole presa sul dibattito, anche pubblico.

Grazie dell’invito. Tre anni fa termini come “blockchain” o “non fungible token” avrebbero generato in più del 90% dei casi la stessa reazione: di che stiamo parlando? Oggi tutto il mondo parla delle opere NFT vendute per milioni di dollari e di calciatori che comprano isole nel Metaverso. Il problema è che quello che si legge nei titoli di giornale è solo la punta di un enorme iceberg che esiste dal 2008. Se quindi le vendite record di cryptoarte in versione NFT hanno avuto il merito di far conoscere questa tecnologia a un pubblico di consumatori che altrimenti non avrebbe familiarità con questi termini, dall’altro lato hanno creato il falso mito secondo il quale il valore della blockchain sarebbe pari al prezzo dell’ultima opera di Beeple o alla quotazione del giorno di bitcoin. Il problema, a mio avviso, è che la maggioranza vede ancora questa tecnologia come un mero strumento di speculazione e non, invece, come la possibile soluzione a problemi pratici.

 

Un problema culturale, dunque.

Esatto. Da parte mia, ho appena iniziato a studiare questo settore e, ovviamente, ho più domande che risposte, ma il bello di affrontare un argomento così innovativo è proprio questo! Inizi con una domanda e trovi una risposta, che ti porta a una nuova domanda più complessa della prima, in un percorso dove l’unico requisito necessario per andare avanti è la curiosità.

 

Ho sempre pensato che di fatto sia la sola curiosità a rompere alcuni muri gnoseologici, quasi invisibili; spiegaci brevemente il funzionamento di una blockchain.

In estrema sintesi, una blockchain è un archivio digitale, condiviso e decentralizzato, in cui vengono registrate tutte le transazioni effettuate dai membri della rete. I dati relativi alla singola transazione vengono inseriti in un blocco della catena che resta costantemente accessibile a tutti i computer dei partecipanti al network, ognuno dei quali ha quindi uno storico completo e aggiornato dell’intera blockchain. Da un punto di vista cronologico, la tecnologia in oggetto è nata nel 2008 con la blockchain permissionless di Bitcoin, creata dalla figura leggendaria di Satoshi Nakamoto. L’obiettivo di Nakamoto era quello di risolvere il problema della doppia spesa, ossia la possibilità di spendere due volte la stessa moneta di scambio, per definizione giuridica bene fungibile.

 

Da un punto di vista pragmatico, come può essere utilizzata una blockchain?

Le principali garanzie offerte dalla tecnologia blockchain sono la tracciabilità, la disintermediazione, la trasparenza ed immutabilità del registro e la programmabilità dei trasferimenti tramite gli smartcontracts. Gestire una transazione su blockchain consente di tracciarne l’esatta provenienza, di verificarne il contenuto in modo semplice, potendo fare completo affidamento su quei dati che sono inalterabili, perché inseriti all’interno di blocchi concatenati tra di loro e sigillati tramite la crittografia. È evidente che in un’epoca in cui i dati vengono considerati il nuovo petrolio, queste garanzie di trasparenza e inalterabilità delle informazioni rendono la blockchain lo strumento del futuro, applicabile nei settori più diversi, dalla DeFi all’industria della musica.

 

Arte, diritto e tecnologia a definitivo confronto…

In effetti, la popolarità di questo strumento è ancora legata al mondo della cryptoarte. Oggi, tramite piattaforme quali Opensea, chiunque ha accesso a questo nuovo mercato e le transazioni in NFT sono cresciute vertiginosamente negli ultimi mesi, aprendosi anche a una clientela di più basso profilo. Ma la domanda che molti si fanno è la seguente: quali diritti si comprano quando si conclude un contratto di vendita avente ad oggetto un’opera in NFT? In realtà, a meno che non sia pattuito diversamente, l’acquirente dell’NFT si trova ad avere niente di più di una mera licenza d’uso personale dell’opera incorporata nell’NFT. Ciò gli consentirà, per esempio, di usare l’NFT come immagine di un profilo social, ma non oltre. Se questo potrebbe sembrare eccessivo, pensandoci meglio, non è alla fine diverso da quello che avviene quando si compra un’opera d’arte fisica: come acquirente non si diventa titolare di tutti i diritti di proprietà intellettuale, che continuano a rimanere nelle mani dell’autore.

 

Grazie, Valentina, per questa illuminante ricostruzione.

Grazie a voi tutti.

 

Claudio Mattia Serafin, Docente di Deontologia giuridico-culturale e scrittore