
Per la tenacia, la passione e l’impegno, per le doti umane e manageriali nei ruoli di responsabilità che ha ricoperto e per la capacità di coniugare la passione per lo studio, nelle attività accademiche, con quella per il mondo delle imprese e della Pubblica Amministrazione”. Queste le principali motivazioni con cui è stata nominata Alumna dell’anno Luiss. Come si coltiva il talento?
Non bisogna mai smettere di studiare e perdere la curiosità: la voglia di continuare a scoprire è fondamentale. Tutti abbiamo pregi e difetti di cui dobbiamo essere consapevoli e su cui dobbiamo agire, valorizzando i primi e minimizzando i secondi, e facendoci supportare sempre da collaboratori competenti. I principali “ingredienti” della ricetta quindi, sono creatività, studio e consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza.
Il premio è una dimostrazione di come lei rappresenti un’eccellenza per Luiss. Cosa rappresenta invece per lei la Luiss?
Luiss è la mia casa. Non ho mai interrotto il forte legame che ho con la mia università anche grazie alle collaborazioni che ho avuto l’opportunità di portare avanti prima da Direttore Generale di Confindustria, successivamente, da Capo di Gabinetto del Ministro della Pubblica Amministrazione e ancora oggi nel mio ruolo di Capo di Gabinetto del Ministro dell’Università e della Ricerca. Luiss mi ha insegnato a competere collaborando, a guardare oltre il mio contesto, ad accettare le sfide e anche le sconfitte. È identità. È un modo di essere in cui mi riconosco pienamente. Ho ricevuto davvero molto in termini di preparazione accademica e umana. Spero di poter restituire all’università quello che ho ricevuto.
Come ha vissuto il momento in cui le hanno comunicato di essere l’Alumna Luiss 2022, cosa ha provato?
Lo ricordo come un momento solenne. Ho saputo della mia nomina in Università, dal Presidente Vincenzo Boccia e dalla Vicepresidente Paola Severino ed è stata per me una grande emozione. Ancora più emozionata ero la sera della premiazione, tanto da non riuscire a parlare. È stato il riconoscimento arrivato da una delle istituzioni a cui tengo di più in assoluto.
Venticinque anni in Confindustria, di cui 8 nelle vesti di Direttore Generale. Tante le sfide: welfare, digitalizzazione e non solo. Come riassume quell’esperienza?
Un quarto di secolo direi particolarmente interessante, durante il quale il mondo è cambiato. Sono entrata in Confindustria nel ‘95 e sono uscita nel 2020, quindi ho visto gli albori della Seconda Repubblica in Italia, passando per un due grandi crisi, quella finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011, e poi la pandemia. Tutto questo tempo mi ha consentito di vedere e vivere gli eventi in prima persona per quanto riguarda le imprese e l’economia del Paese. Il mondo è cambiato radicalmente: dall’adesione della Cina alla WTO, alla fine degli anni ’90 con l’avvio della globalizzazione, fino agli anni più recenti, quando c’è stato un ripensamento dei canali da e verso il mondo. Sono cambiate molto anche le imprese. Il nostro rimane un sistema di imprese di piccole e medie dimensioni, ma un sistema solido. I cambiamenti radicali che abbiamo attraversato e, soprattutto, la pandemia e la guerra in Ucraina ci hanno mostrato un sistema industriale italiano molto resiliente e adattivo che, nonostante le difficoltà e le crisi, ha reagito benissimo. Questo ci deve far riflettere sia su ciò che sono le imprese italiane. Siamo nel pieno di un rimescolamento degli equilibri globali, anche economici. In questo rimescolamento io penso che l’impresa e l’industria, soprattutto, debbano avere un ruolo chiave.
Quali sono e quali dovrebbero essere le azioni prioritarie per il sistema delle imprese, secondo lei?
Dal Ministero dell’Università e della Ricerca abbiamo un punto di osservazione privilegiato, perché guardiamo a quello che succederà nei prossimi decenni e su cui dobbiamo investire. Penso alla ricerca di base e applicata, all’università e a come preparare le persone ai cambiamenti radicali che stiamo vivendo. Credo che la competizione in futuro si giocherà sempre più sulla frontiera dell’innovazione. Gli Stati e le imprese che non investiranno in ricerca e innovazione saranno destinati a essere marginalizzati. Dal momento che, anche grazie al PNRR, ci sono molte risorse destinate a ricerca e innovazione, è importante intercettarle e veicolarle verso iniziative che costruiscano una solida base per garantire che le imprese possano effettivamente innovare in futuro. Quello che io raccomanderei alle imprese è di non aver paura di cimentarsi anche su trend molto sfidanti in termini di innovazione. C’è un dibattito, a livello europeo, sull’orientamento dei prossimi programmi per la ricerca su cui il sistema industriale italiano deve essere ambizioso perché ha tutte le capacità per esserlo.
Considerando la sua carriera, in che modo si conciliano l’interesse generale e i legittimi interessi particolari nel pubblico e nel privato?
Lavorare in un’associazione di rappresentanza di interessi è un po’ come lavorare in una istituzione governativa, nel senso che hai una platea di soggetti che fanno parte della tua constituency, che hanno peraltro interessi non necessariamente omogenei. Comporre questi interessi è estremamente difficile e farlo ti insegna un metodo, ma anche una attitudine che poi devi essere in grado di esprimere quando ricopri ruoli diversi. Per me, infatti, non c’è mai stata una barricata tra questi due mondi, anzi, credo che debbano necessariamente parlarsi, proprio perché entrambi perseguono un interesse generale. Anche in Confindustria se non si ha in mente l’interesse generale, non è possibile perseguire un interesse particolare, perché andrebbe contro l’interesse del Paese. È ovvio che quando sei in una posizione di governo l’interesse generale è ancora più articolato e complesso e se non tieni conto di questa complessità non sarai in grado di fare il bene del Paese. Per questo penso che trovare soluzioni di equilibrio sia assolutamente necessario, qualsiasi posizione si ricopra. Questo non vuol dire non fare delle scelte. Le scelte vanno fatte e a volte, quando la posizione di equilibrio non è raggiungibile, bisogna essere decisi e individuare la soluzione che massimizzi l’interesse generale e minimizzi i contraccolpi negativi.
Quali sono le sfide e i principali compiti nel ruolo di Capo di Gabinetto?
Il Capo di Gabinetto coordina gli uffici di diretta collaborazione del Ministro, che sono gli uffici a supporto della attività politica e di policy making, dalla segreteria tecnica, all’ufficio legislativo, così come l’ufficio stampa o l’ufficio del consigliere diplomatico, in altre parole, contribuisce alla definizione e poi all’attuazione delle politiche e a trasmettere l’indirizzo politico espresso dal Ministro agli uffici del ministero. Personalmente, in questo ruolo metto in campo tutte le capacità, le competenze e le esperienze che ho maturato per capire come costruire delle buone politiche, come attuarle e soprattutto come monitorarne i risultati. Questo approccio ha incrociato una forte volontà del Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, fermamente convinta di questo ruolo degli uffici di diretta collaborazione tanto da costituire un nucleo di analisi economica e di studio di dati sulle modalità di attuazione delle politiche, per analizzare che effetti che queste producono e quali le eventuali correzioni necessarie. La differenza rispetto al precedente incarico di Capo Gabinetto al Ministero per la Pubblica Amministrazione, da un punto di vista puramente tecnico, è che si tratta di un dicastero con portafoglio. Avere una autonomia economico-finanziaria fa la differenza anche in termini di strutture. Dal punto di vista dei temi, la riforma del lavoro pubblico e le semplificazioni hanno contribuito alla costruzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la parte di PA e sono state una grande sfida. Il Ministero dell’Università ha un impatto e una visione europea e internazionale, perché ci sono moltissime collaborazioni con istituzioni di altri Paesi e molte politiche vengono attuate a livello europeo e questo rappresenta oggi un impegno altrettanto sfidante.
A proposito di PNRR, dopo decenni in cui abbiamo fatto fatica a spendere le risorse europee, abbiamo davanti una opportunità gigantesca. Quale il punto di forza del Piano?
Il PNRR rappresenta un metodo, spiega come si fanno le cose, con scadenze, verifiche e attività di feedback. Impone una timeline precisa, obbliga anche ad avere un’attenzione agli aspetti qualitativi. Inoltre, il continuo confronto con la Commissione europea, per me, è stato tanto impegnativo molto positivo e istruttivo. Sicuramente ci sono dei progetti complessi e quando sono stati disegnati, immaginati, probabilmente non sono state pensate tutte le possibili ricadute che adesso stiamo verificando. È normale che arrivi una messa a punto del PNRR su alcuni aspetti, trattandosi di un piano a cinque anni. La realtà cambia e quindi degli adattamenti sono necessari, sulla base dell’esperienza, per raggiungere gli obiettivi fissati.
Per chiudere, tornando al punto di partenza: qual è l’importanza di un network forte e globale degli Alumni Luiss?
Il network degli alunni è fondamentale in termini di supporto all’università e di internazionalizzazione. Il fatto di andare in una capitale all’estero e trovare un Chapter di Alumni è un modo per accogliere un laureato Luiss e dare anche una prospettiva. Questo lo fanno tutte le università internazionali ed è un pilastro fondamentale nella costruzione dell’identità di un laureato alla nostra università.
E se potesse tornare indietro nel tempo, cosa direbbe alla matricola Marcella Panucci?
Le direi di accettare di poter sbagliare. Dagli errori si impara più che dai successi.
Articolo a cura di Redazione Connect.